Quante volte hai sentito parlare di growth hacking? In questo articolo capiamo cosa si nasconde dietro questo termine, dalla definizione al metodo, fino ad alcuni esempi di attuazione da parte di grosse aziende che sicuramente conosci.
Il termine è stato coniato nel 2010, da Sean Ellis nel suo blog. Ma è solo nel 2013 che diverrà di uso comune con un articolo di Andrew Chen relativo al caso di Airbnb. Non che prima di allora non esistesse il growth hacking, semplicemente si era trovato un nome al processo.
Il growth hacking basa su tre concetti chiave: sviluppo del prodotto, analisi dei dati e marketing digitale. L’obiettivo principale del growth hacking è individuare i metodi più efficaci per far crescere il business velocemente. Non ha nulla a che fare con il marketing tradizionale, ma riguarda piuttosto un balzo, una programmazione smart con un bugdet ristretto.
“Matir artium necessitas” potrebbe essere il motto del growth hacker. Il fulcro della sua attività, come ci spiega Ellis nel suo libro, è trovare in poco tempo delle soluzioni, pensare fuori dagli schemi, collaborare, avere problem solving, sperimentare e analizzare i risultati.
Basandoci sulla definizione più popolare, il growth hacking è un approccio strutturale al consumatore che evolve (spesso con poche o zero risorse) tattiche per immettere il prodotto nel mercato. Si basa su rapidi e innumerevoli esperimenti, riferendosi continuamente ai dati raccolti.
Twitter, Facebook, Dropbox, Pinterest, Youtube, Groupon, Udemy, Instagram e Google sono tutte compagnie che usano e riusano il growth hacking per far crescere il brand e creare profitti.
I punti focali del growth hacking si possono sintetizzare così:
Il growth hacker è una mente creativa ma anche analitica.
La fase iniziale del processo è infatti analizzare. Da quali sorgenti arrivano gli utenti? A che ora ho le maggiori visite? Dove vivono principalmente? Quale pagina ha il maggior abbandono? Sono queste alcune delle domande da porsi prima di esporre l’idea.
“Per avere una buona idea bisogna avere molte idee”. Le idee che non sono brillanti sono la chiave del processo. In questa fase è fondamentale buttare giù quante più idee possibili. Quante più la lista di idee è lunga tanto più si avrà la possibilità di trovare quella vincente che stimola la crescita. Se sei a capo di una PMI devi invogliare ogni componente a proporre un’idea, ognuno per il suo settore.
Impatto, sicurezza e facilità sono le tre componenti da analizzare per organizzare tutte le idee.
Potresti essere portato a pensare che conta solo l’idea con un potenziale di grande impatto, ma anche tante idee con un piccolo impatto possono portare risultati significativi.
La seconda fase, denominata sicurezza, è il momento in cui si misura se l’idea produrrà il giusto impatto. Non ci si basa su congetture, ma sull’analisi di dati, vecchi esperimenti, case-study, ecc…
Nell’ultima fase, si misura il tempo e le risorse che serviranno per fare l’esperimento.
Una volta scelta l’idea, bisogna testarla.
Non esiste una pratica comune a cui poter attingere, perché ogni prodotto è diverso, compresi i consumatori-target che ne usufruiscono. Ma ci sono alcuni punti chiave che possono indicarti la via giusta, te li elenco di seguito.
Per prima cosa, però, vediamo un elemento critico comune: le friction.
Tradotto letteralmente “friction” significa attrito, e rappresenta tutto quello che frena un cliente dal completare la sua procedura d’acquisto. Qualche esempio: un pop up che compare mentre si sta leggendo l’articolo oppure i CAPTCHA che compaiono prima di compilare un form.
Noi tutti sappiamo quanto tutto questo sia fonte di fastidio! Una persona vivamente interessata al prodotto potrebbe non ritenerlo un problema, ma tutti gli altri sì! La questione è che questi “attriti” sono posti all’inizio dell’esperienza di acquisto, costituendo un grosso freno.
Le best-practice per attirare il cliente (e non farlo scappare!) sono:
Il growth hacking non è uno strumento esclusivo per i marketers. Può essere utilizzato dagli ingegneri, dai manager, dai venditori, dai designer, e così via.
Per diventare un growth hacker devi essere guidato dal metodo, devi imparare a testare le nuove idee e usare i dati per trovare le idee vincenti che guidano la crescita. Il growth hacking è un ciclo di continuo miglioramento. Risulta essenziale mescolare tra loro competenze e talenti. Fare delle ricerche qualificative e analisi dei dati quantitative per trovare i giusti insight. Generare rapidi test delle idee. In un mondo che evolve rapidamente, trovare soluzioni rapide è focale.
Il growth hacker non è solo abile nel trovare nuovi clienti, ma anche nell’attrarre, stimolare e far sì che tornino. Saper analizzare i dati è un requisito essenziale: oggi i nuovi strumenti tech rendono più semplice che mai il compito, al fine di realizzare nuove iniziative.
Un’altra skill fondamentale è essere abile nel creare campagne a costo zero… o quasi. Un growth hacker è qualcuno che ha rimpiazzato il modo di fare marketing tradizionale con ciò che è testabile, tracciabile e scalabile.
I suoi strumenti sono e-mail, pay-per-click ads, blog e piattaforme API, non più pubblicità e grossi investimenti. Invece di spendere milioni in campagne, il growth hacker fa il suo lavoro con pochissime risorse.
Potremmo riassumere dicendo che le skill principali sono creatività e problem solving. I growth hacker sono inventori e meccanici che trasformano un brand da niente a qualcosa.
La prima versione della forma a T è stata creata da Brian Balfour, ispirato da una versione più incentrata sulla SEO di Mike Tekula.
Occorre sviluppare uno schema a T per acquisire le skill necessarie per essere un growth hacker.
La T ha tre strati: conoscenze, fondamenti di marketing e conoscenza dei canali.
Conoscenze: vanno da un’impostazione psicologica, perché è importante saper dare valore ai consumatori. Per capire quali successi vogliono ottenere, o quali sono i loro punti critici, devi avere un’impostazione psicologica, una sorta di empatia. Devi essere abile anche nel saper raccontare il prodotto, distinguerti dalla massa, con un abile storytelling. Capire l’esperienza del consumatore è fondamentale, in aggiunta a basi di UX design. E dovrai imparare ad avere a che fare con i numeri, per analizzare i dati. Ultimo, ma non meno importante, sono richieste basi di HTML e CSS.
Fondamenti di marketing: Analizzare i dati e sapere come integrarli è fondamentale: devi capire cosa sta succedendo, e perché, per ottimizzare la strategia. Capire le logiche del funnel, seguire i passaggi del consumatore per implementare la customer experience. Inoltre, bisogna avere delle competenze in copywriting. E, ancora, testare, testare, testare. Imparare ad automatizzare i processi con le API. E, infine, essere capace di collaborare.
Competenze dei canali: diventa essenziale saper invogliare i tuoi utenti a parlare del tuo prodotto ad altri utenti. Devi saper imparare ad attirare l’attenzione dei media. Utilizzare i social media, la SEM, la SEO, generare contenuti di qualità, costruire una community intorno al tuo prodotto… Queste sono solo alcune delle competenze che ti saranno utili.
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